“Black tea”: un invito alla presenza attraverso i sensi

Anche andare al cinema a volte può essere un’esperienza totalizzante di cui vale la pena parlare in uno spazio dedicato alla danza e a pratiche di consapevolezza.

È il caso del film “Black Tea” del regista mauritano Abderrahmane Sissako, che personalmente ho attraversato come un vero e proprio percorso sensoriale.

La storia, non sempre chiara e lineare, a mio parere passa in secondo piano rispetto a una narrazione nella quale le situazioni e i dialoghi tra persone di etnie diverse, perlopiù africane e cinesi, ci coinvolgono come le opere di una mostra dedicata alla bellezza dell’essere umano. Un elogio alla lentezza e alla semplicità che ci ricorda, attraverso i gesti e le relazioni con gli altri, il valore di ogni singola persona (in un presente che non dimentica il passato) e mette in luce la ricchezza dei popoli, del patrimonio linguistico, delle tradizioni e la possibilità di convivere e apprendere gli uni dagli altri, contaminandosi senza per questo perdere le proprie radici.

È un’esperienza che inizia in Costa d’Avorio e prosegue in Cina, con un salto onirico sull’isola di Capo Verde, di paesaggi quotidiani di persone più che di luoghi, dominati dai colori, non solo della pelle: si rimane affascinati dalle fantasie sgargianti delle stoffe africane e dalla vastità delle verdi colline delle piantagioni di te.

Ed è proprio questa bevanda preziosa che, attraverso i gesti lenti e precisi della sua preparazione, stimola l’olfatto, il gusto e una piacevole sensazione tattile. Il cerimoniale gradualmente si colora di una delicata sensualità, senza perdere la sua forma zen, attraverso il con-tatto di pelle tra un uomo orientale e una donna ivoriana, il cui soprannome dà il titolo al film.

La visione in lingua originale – prevalentemente in francese e mandarino – la impreziosisce di un sonoro che va oltre il significato delle parole e si integra con tutto ciò che ascoltiamo. Mi ha colpito ad esempio il rumore che accompagna la gestualità nel riempire piccole confezioni di te, un cucchiaio alla volta. In questa danza circoscritta c’è il tema del prendersi cura delle persone e delle cose, sia nel contesto privato che sociale e lavorativo, ricorrente nel film in diverse scene: dal parrucchiere africano, custode di tradizioni, al negozio di valigie.

Bellissima la colonna sonora di Armand Amar, compositore francese (nato a Gerusalemme ma di origine marocchina) che personalmente amo per le sue pause, la delicatezza e il rimando a luoghi lontani, a cui spesso faccio ricorso per stimolare le persone a entrare nella propria narrazione danzata.

Guardando il film si sente l’odore acre della pelle scura e dei cibi della cucina orientale, si assaporano saké e ravioli cinesi. Odori e sapori che abbiamo imparato a conoscere in un mondo globalizzato che ha accorciato le distanze ma non ha ancora imparato a convivere e nel quale è assolutamente necessario ridare valore anche alle cose, dedicandosi a una pratica costante di cura, ascolto e rispetto dell’altro.

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