Il desiderio di continuare ad esplorare la relazione creativa tra scultura e danza (leggi Dalla scultura alla danza) prosegue questa volta in collaborazione con Silvia, guida esperta e appassionata di Girando Milano.
L'appuntamento è per le 10 davanti all'ingresso principale del Cimitero Monumentale di Milano.
Il clima è novembrino ma fortunatamente non piove.
I partecipanti hanno a disposizione margherite da lasciare come segno commemorativo e un taccuino dove appuntare frasi e parole che colpiscono curiosità e cuore.
Io scelgo di farlo con una piccola macchina fotografica.
Il percorso artistico di oggi è inedito rispetto al classico tour al Monumentale e per questo invito i partecipanti ad ascoltare ciò che li circonda con grande apertura sensoriale.
Il tema del ruolo evocativo della scultura è molteplice in questo luogo, che si presenta come una vera e propria città, aperta a persone di ogni credo e vissute in epoche diverse tra loro.
Silvia ci conduce in un percorso tra opere d'arte, costume, storia della città e piccole curiosità, con grande sensibilità, lasciandoci il tempo silenzioso di elaborare pensieri e godere delle emozioni del momento.
Mi affiora alla memoria il ricordo di me bambina, il giorno dei morti, in compagnia di mio fratello, curiosi tra le tombe a leggere nomi e osservare vecchie foto per inventare storie di vita e di morte. E mentre noi bambini giocavamo con la fantasia, gli adulti posavano fiori per commemorare i loro cari.
Tra le immagini più suggestive, un viale alberato, completamente ricoperto di foglie gialle che incessantemente si posano sul terreno e sulle tombe.
C'è una memoria comune e necessaria, come quella dei caduti nei campi di concentramento.
C'è la memoria privata di una coppia di coniugi che il tempo ha trasformato in simbolo di tristi accadimenti storici, in seguito alla scelta di non restaurarne le statue decapitate dai bombardamenti.
C'è la memoria di una famiglia sconosciuta che rimane legata al nome dell'autore del monumento funebre, come il caso della tomba realizzata da Arnaldo Pomodoro.
C'è la memoria del piccolo figlio di Arturo Toscanini, offuscata dalla grande figura del padre, sepolto nello stesso luogo.
C'è la memoria di chi è stato apprezzato in vita, come l'attrice Dina Galli, alla quale i milanesi hanno voluto donare un monumento funebre che non poteva permettersi.
C'è la memoria di chi si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, vittima di un attentato.
Un cimitero è una città di storie, di relazioni spezzate, che lasciano madri senza figli, figli senza madri, donne senza il proprio compagno o viceversa.
La città dei morti è la continuità terrena che vive nella memoria di chi rimane.
L'esperienza prosegue in sala danza dopo un piccolo spuntino.
Ancora non mi è chiaro come procedere ma ho notato che sui taccuini è stato scritto tanto.
Scelgo di coprire gli specchi con le tende per continuare a guardare con gli occhi del cuore.
Con l'aiuto della musica e del ricordo torniamo alla città della memoria, per rievocare suoni e sensazioni, che ora possiamo permetterci di ascoltare con tutto quanto il corpo, attraverso la libertà del movimento.
Invito ogni partecipante a scegliere un solo pensiero, tra i tanti foglietti scritti, che sono stati posati sul pavimento, attraverso lo stesso gesto compiuto nel posare un fiore commemorativo su una tomba.Le frasi scelte, riportate da ciascuno su un'unica striscia di carta, costituiscono il filo conduttore del lavoro coreografico.
Inizialmente partecipo unendo gesti e movimenti proposti da ognuno ma andando avanti mi accorgo che il mio intervento è sempre meno necessario.
Il piccolo gruppo rivela un'ottima capacità di lavorare insieme, di proporre e accogliere le idee degli altri, di guidare e lasciarsi condurre.
La luce naturale che entra dalle vetrate si oscura ma nessuno ha voglia di accogliere quella artificiale. Una piccola luce da scrivania sembra un giusto compromesso.
Nella sala danza si è creata un'atmosfera poetica, serena e delicata.
Noto che nei movimenti proposti è ricorrente la figura del cerchio che chiude verso una dimensione interna, intima e protetta.
In un'ottica coreografica, temo che ciò rischi di escludere troppo l'ipotetico sguardo di uno spettatore.
Al termine rimane a terra, con i suoi pensieri scritti sopra.
Ciò che vorremo conservare rimarrà dentro di noi.
A parte qualche suggerimento in questo senso, cerco di limitare il più possibile il mio intervento. Dò un occhio esterno per mettere insieme i pezzi della coreografia, nella quale, sul finale, viene coinvolta la striscia di carta, che si fa simbolo della memoria di questa esperienza.
Guarda il video della coreografia realizzata
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