
Qualche giorno fa ho visto un film che al cinema avevo perso, uscito nel 2013 e diretto da Roberto Andò. Il suo titolo è "Viva la Libertà".
Per una sognatrice come me, che capisce poco di politica, saziandosi solo di pane, danza e teatro, un film del genere sfonda una porta aperta. Ho subito sentito il desiderio di postare la scena dell'incontro al vertice tra il deputato (in realtà sostituito dal gemello, secondo la migliore tradizione teatrale) e il cancelliere tedesco, che, guarda caso, è una donna.
I due non si parlano, si tolgono le scarpe e, a piedi nudi, ballano il tango, dietro l'occhio divertito del collaboratore del politico che spia dal buco della serratura.
Con mia grande delusione ho scoperto che il video della scena in questione, che secondo me è molto più che un divertissement del regista, nel web non si trova. Largo spazio, invece, è dato al comizio del partito, nel quale il gemello già citato, un professore di filosofia da poco dimesso da un centro psichiatrico, recita Brecht, come fossero parole sue, tra una folla commossa.Eppure, in un mondo fatto di parole che si perdono spesso nel vento, la scena del tango ha riacceso in me il sogno che la danza possa ritrovare il suo posto tra le forme di linguaggio, come mezzo di comunicazione, come strumento nella relazione, e che non si limiti ad essere solo un'espressione artistica per professionisti alla ricerca della perfezione o qualcosa da proporre solo nei centri psichiatrici (dove si svolge, tra l'altro, guarda caso, l'altra scena danzata del film).
Da poco ho terminato un'esperienza di musica e danza con coppie mamma-bambino, osservando, ancora una volta, che
nel momento in cui proviamo a privarci del linguaggio verbale, si apre un mondo di possibilità totalmente inesplorato e che spesso consideriamo scontato o superfluo.
Ancora una volta ho sentito la potenzialità del movimento, del contatto, della forza espressiva del volto e dello sguardo.
"Voglio veder l'America danzare" era il sogno utopistico di Isadora Duncan, nel quale io non trovo nulla di folle, se non l'amarezza di confrontarlo con ciò che ci circonda e osservare esseri umani che la società ha dotato di rigidi corazze come quelle dei soldati, che osservano i "folli" che ballano e si limitano a giudicare se siano "bravi" o meno. Allora mi domando: chi è più folle? Nel film, dal titolo che è già tutto un programma, troviamo la risposta di Brecht: "Non aspettarti nessuna risposta oltre la tua".
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