
Ho visto "Dancing with Maria", il film su Maria Fux, danzaterapeuta argentina ancora attivissima.
Attendevo con trepidazione la pellicola di Gergolet che ha commosso il pubblico a Cannes e confesso che nutrivo in essa la speranza di far conoscere al grande pubblico ciò che noi danzaterapeuti diffondiamo.
Mi sono precipitata quando ho saputo che il film sarebbe stato visibile solo per pochi giorni e mi ha fatto piacere trovare la sala piena, anche se per la maggior parte di "addetti ai lavori" che già sanno quanto sia prezioso ciò che Maria, oggi 93enne, ci ha insegnato e continua ad insegnare.
Noi la Fux la conosciamo così, in tutta la sua teatralità.
Spiace quasi sentirla parlare nella sua lingua madre, perché il suo modo di esprimersi in italiano, fa parte del suo personaggio, per come l'ho conosciuta io, e amata, e talvolta temuta.
Nel film, nonostante si veda la sua sala di Buenos Aires gremita di persone, l'attenzione è focalizzata su alcune in particolare, per mostrare che la danza di Maria non si ferma davanti al limite di chi non può camminare, non può udire, non può vedere. È il nostro sentire a renderci tutti diversi e simili al tempo stesso.
Il film coglie il lavoro di Maria in modo molto poetico, attraverso scelte realizzate con delicatezza, come quella di raccontare i sentimenti tra due giovani ragazzi down, attraverso un gioco di sguardi, e una inconsueta danza tra due pupazzetti tra le mani di lui che ho trovato di una bellezza disarmante. Emozionante anche la scelta di privarci per qualche istante dell'audio, per condividere l'esperienza di una persona non udente.
Tuttavia, una volta uscita, nonostante il bellissimo utopistico finale, in cui il traffico sotto lo studio di Maria lascia il posto a persone di ogni età, che danzano riempiendo gli spazi stradali, mi sono chiesta se sia arrivato veramente alle persone il messaggio che speravo:
La danzaterapia è per tutti e non si ferma davanti ai limiti, intesi come le difficoltà, più o meno evidenti, con cui ha a che fare ognuno di noi, in quanto essere umano.
"Ognuno di noi ha un ritmo interno che ci muove" dice Maria, e io ci credo, perché lo vedo ogni giorno, non solo nei bambini, ma anche in persone adulte, eppure preferiamo nasconderci dietro alla forma del nostro corpo, ci muoviamo secondo le mode del momento, attraverso imitazione di modelli, con il timore di confrontarci con quello che è il modo più semplice e naturale di muoverci e che ci mette in contatto con le nostre emozioni.
Preferiamo pensare che la danzaterapia sia più adatta alle persone disabili, o che possa essere una bella esperienza per i bambini a scuola (specialmente per quelli "problematici"). Questo è il grande limite che sento nei confronti della danzaterapia in Italia.
Maria, che nei suoi gruppi accoglie i danzatori professionisti insieme a chiunque altro, ci invita a trasformare questo pregiudizio in possibilità creativa, perché tutti siamo esseri danzanti, uguali e diversi.
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