Giocando con Pollock |
Ozan Aksoyek, danzatore e ricercatore nell'ambito del movimento, chiama, in un'intervista letta anni fa, "movimenti parassiti" quelli la cui intenzione non è chiara all'interno del corpo e che, conseguentemente, risultano, nello spazio esterno, privi di una direzione precisa.
Anche nei gruppi di danzaterpia si osservano i movimenti parassiti. Spesso si presentano attraverso un'energia superiore a quella necessaria e risultano innaturali, finti, premeditati.
Occorre tempo e fiducia perché un utente si liberi di tali movimenti e ne riveli di autentici, mostrando così il proprio naturale essere danzante.
Isadora Duncan, nel suo "L'Arte della Danza" scrive:
il corpo deve imparare ad esprimersi coi movimenti che gli sono naturali.
Anche in questo caso non si parla di consapevolezza, termine direi quasi di moda, ma di autenticità.
I bambini non sono consapevoli di ciò che fanno ma esprimono ciò che sono; non compiono movimenti parassiti, ma sono in grado di imitare quelli degli adulti.
Ancora una volta la danza mi offre lo spunto per riflettere, in particolare sull'unità tra ciò che si è e ciò che si fa e su quanto sia complesso non solo mostrare ma anche riconoscere e nutrirci di autenticità nel quotidiano. Questo non perché non si manifesti ma perché, a mio parere, non possediamo gli strumenti per farlo, o peggio, ne possediamo così tanti da perdere la bussola.
A tal proposito trovo interessante ciò che scrive Oliver Sacks nel suo noto libro "L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello". In esso l'autore definisce il linguaggio naturale come "l'espressione di tutto il proprio pensiero con tutto il proprio essere".
La cosa curiosa è che egli ci fa notare come persone con deficit, in particolare gli afasici (cioè coloro che non possono comprendere le parole ma colgono quello che viene chiamato "tono emotivo") e, all'opposto, persone affette da agnosia tonale (che suppliscono all'impossibilità di comprendere il tono della voce con una attenta analisi dell'espressione del viso e della scelta delle parole) siano infallibili nel riconoscere autenticità o meno in ciò che viene espresso.
Quanto detto mi invita a pensare che soprattutto l'innocenza e la sensibilità dei bambini e le capacità straordinarie sviluppate da persone che presentano deficit agli occhi "normali" del mondo, abbiano a che fare con termini quali naturalezza, autenticità, intensità.
Dall'altra parte, mi azzardo a dire, ci sono gli adulti "normalmente nevrotici" (per usare l'azzeccatissima definizione di Blanche Evan, pioniera della Dance Therapy), perduti in una complessa nebulosa di un "troppo" che spesso porta all'incongruenza tra ciò che siamo e ciò che facciamo.
All'incapacità di vedere le cose nella loro forma più semplice ma non per questo meno profonda; all'accumulare esperienze in modo superficiale.
A riempire il tempo perdendo l'intensità degli attimi. Siamo tutti consapevoli della nostra natura, tuttavia continuiamo a comportarci in modo innaturale.
E' un tema bellissimo...e profondo.
RispondiEliminaLa nebulosa del troppo ci attanaglia, soprattutto qui in città ( come sento la differenza nei suoni e nei ritmi rispetto a quando stavo in cascina ! ), e non è sempre facile.
Nella danza sento che abbiamo accesso a un modo di stare al mondo unico e autentico sempre ( anche quando è parassita in realtà ).
E' il vero DASEIN di cui parlano i filosofi ( che parlano parlano e pensano e pensano ).
Il nostro mondo, la nostra società sta correndo a sviluppare tantissimo una serie di arree cerebrali a discapito di tutte le nostre intelligenze motorie e relazionali.
Mi capita quando guardo una donna immigrata africana con che sapienza tocca il suo bambino, con che danza riesce a cambiargli il pannolino in treno,come lo addormenta sulla sua schiena...senza mai aver avuto forse accesso a tutte queste informazioni che ci girano intorno.
Abbiamo tutti bisogno di autenticità e forse essenzialità.